VENOM – PRIME EVIL 

 

Ciò che starò per scrivere farà storcere il naso a non pochi metalheads e puristi del genere, ma poco importa, sono adulto e vaccinato, so prendermi la responsabilità delle mie azioni, e nell'eventualità (questa) delle mie idee (e dei miei gusti): questo è il miglior album dei Venom.

 

No, non sto parlando di “Welcome to hell” e “Black metal”, nemmeno di “At war with Satan”, ma bensì di “Prime Evil”.

 

No, non sono impazzito, o infame nei confronti del glorioso passato, né sordo, tutt'altro; lo amo e lo rispetto, come amo urlare uno sguaiato “COUNTESS BATHORY!” od un malvagio “LAY DOWN YOUR SOULS TO THE GOD’S ROCK’N’ROLL!” nei noti ritornelli, ma ciò che trovo in “Prime Evil” e che non riesco a scorgere nei lavori precedenti sono un netto miglioramento nel lato esecutivo, e nuova linfa compositiva che ormai da un album e mezzo o due, difettava nei ranghi dei cattivi ragazzi di Newcastle.

 

Ma facciamo qualche passo indietro, è il 1987, la formazione, non più in trio, ma in quartetto (come nel primo demo del 1980, con la meteora del cantante Jesus Chris), vede gli storici Cronos al basso e alla voce, Abbadon alla batteria, ed i misconosciuti chitarristi Mykus (che presenzierà in futuro, nuovamente a fianco dei Venom di Cronos, nell'album “Metal black” del 2006) e James Clare; è uscito “Calm Before the storm”, e l'ordinanza del chitarrista Mantas si fa sentire. Infatti, lo stesso, decide di uscire dalla band a seguito dello scarso riscontro subito dall'infausto “Possessed”: a tutti gli effetti un demo spacciato per album.

 

Detto fatto, i Venom non esistono più: Cronos, anch'egli enfatizzato dal fallimento degli ultimi lavori, decide di sciogliere la band e passare il testimone a se stesso medesimo, con l’intraprendere di una carriera solista, e maggior libertà stilistica.

Unico superstite, quindi, rimane appunto il batterista Abaddon che si ritrova tra le mani la possibilità di utilizzare il moniker della band: riavvicinatosi a Mantas, questi, porta dentro con se il chitarrista Al Barnes, alias War Machine, il quale aveva suonato nel suo album “Winds of change”; ma l’elemento più sorprendente della parte, rimane il bassista e cantante Tony Dolan, appena uscito dalla sua creatura, gli Atomkraft.

 

Ciò che viene fuori dalle registrazioni del quartetto è un album sporco, ruvido e veloce, in pieno stile Venom, senza ombra di dubbio, eppure, qualcosa và discordando col vecchio regime: Venom e non Venom allo stemmo momento, perché “Prime Evil” suona molto diverso rispetto ai suoi predecessori, in quanto il songwriting era per la maggior parte affidato a Cronos e con la sua partenza il gruppo suona quasi come fosse un'altra band rispetto a prima. È proprio con queste motivazioni che il lavoro appare dotato di una sorprendente freschezza compositiva e di un'energia rinnovata che mai più riusciranno a ritrovare nella loro onorata e al contempo disastrata carriera; a coronare il tutto -visto che anche l’occhio vuole la sua parte- vi regna una copertina suggestiva ed evocativa, di quelle che stanno bene sulle t-shirt. Poi, l’antico Egitto tira sempre…

 

Partiamo dal fondo: la versione in cd, rispetto a quella in vinile ed in musicassetta, possiede una registrazione di “Live like an angel, die like a devil”, un poco per concludere in bellezza e brutale autorità, e probabilmente per creare un legame col recente passato.

 

Fatti i giusti e dovuti preamboli, cominciamo a parlare del disco e della sua setlist, track by track: inevitabilmente, fin dal principiare del minutaggio, la prima caratteristica che taglia di netto col passato e che nell'immediato salta all'orecchio, è la voce: rauca (ma non troppo), spietata al punto giusto, che diventa più impietosa nella seconda traccia (“Parasite”), ma che già sa dare il giusto benvenuto all'ascoltatore con la title-track, nonché primo brano dell’album, “Prime evil”, appunto.

 

Si tratta di Demolition man, al secolo Tony Dolan, classe 1963 come il terribile generale infernale Cronos, col quale si trova a condividere non solamente l’anno di nascita, ma anche il . Se pur non strettamente inerente a questo disco, terrei a segnalare la splendida reinterpretazione “folkloristica” che ne fecero gli Skyclad.

 

La terza traccia, “Blackened are the preiests”, si apre con un inaspettato quanto, Dolan spara a mitraglia con la sua ugola, e non contento, in un intermezzo d’atmosfera, ci stravolge col suo basso dispotico; il ritmo si fa più lento, per terminare come era principiata, con un organo/tastiera a creare l’ambiente adatto all’udito e all’headbanging, unendo questa lenta ma potente canzone alla successiva, “Carnivorous”; la cattiveria è sempre presente, e la velocità ritorna protagonista.

Queste due canzoni, vennero scritte dal solo Demolition man, ancora per i suoi Atomkraft, e prima che entrasse nei Venom.

 

Non è da meno la successiva “Skeletal dance”, dove la velocità appare raddoppiata, ma arricchita da un’oscura introduzione a doppia chitarra, capace di aggiungere misterico fascino e tensione.

La sesta traccia è un omaggio ai maestri, ai migliori Black Sabbath, quelli di “Sabotage”; la durata del brano è tagliata di netto, e anche questo, come i precedenti due, si trova a correre, come se pendente dell’obbligo di venire registrato in fretta e furia: furia, questa CONOSCIUTA!

 

Quattordici anni intercorrono tra “Sabotage” e “Prime evil”, eppure, grazie al lavoro di scalpello, plettro e bacchette dei nostri, sembrano essere passate ere: tagliata l’introduzione, si procede verso il nucleo del brano: senza misericordia del passato, e della tranquillità di colui che si trova ad usufruire del long playing.

 

Gli allievi, dimostrano non solo di saper apprendere la lezione dai maestri, ma di superarli in cattiveria e (a modo loro) in originalità.

 

Passano fin troppo veloci “I agree”, “Harder than ever” e into the fire”, che per attendere un risollevarsi delle sorti, giunge il brano finale: uno dei più forti del lavoro: principiato con inaspettato incedere simil-blues(!), cambia direzione col cambio di ritmo, serrato e spietato come i nostri ci hanno abituato da ormai mezz'ora buona, con un Demolition Man impavido che cavalca selvaggiamente col suo basso come adoperasse un’arma da guerra, e oltre la metà inoltrata del pezzo, giunge finalmente l’atteso assolo di chitarra, più heavy del previsto: se pur sfavorito da un inizio zoppicante, si riprende nella seconda metà del suo sviluppo regalandoci grandi emozioni, se pur non all'altezza dei migliori virtuosismi, ma ci accontentiamo…

 

I Venom di questa trilogia spuria che verrà, saranno o no i veri Venom? Oppure, si dimostreranno una band a se stante, che ha saputo inglobare l’aggressività degli stessi e degli Atomkraft, limando là dove il marciume e la ruggine si erano sedimentate, sapendosi migliorare stilisticamente e nella composizione?

 

Innegabilmente siamo lontani dal capolavoro, termine ignoto per una band i cui natali (e non solo…), se pur meritevoli della leggenda, appaiono altresì indegni alla realizzazione di una tecnica strumentale compiuta; in ogni casistica che si voglia tirare fuori, questo, rimane un buon disco speed metal, un classico del genere, figlio di una produzione impeccabile ed distante da quella grezza, un poco casereccia e più claustrofobica che fino ad allora ci era stata “imposta”, con tutti gli strumenti ben in evidenza e un sound potente, marcato e definito.

 

VOTO: 8 e ½ (vorrei poter dare di più, ma ho paura a sbilanciarmi)

 

Recensione di Yuri Sfratti