RECENSIONE IT (EDIZIONE 2017).

 

 

“E mi sembravi un pagliaccio con il viso truccato da poco e le mani ingiallite facevi fotografie.” 

 

Alunni Del Sole, dal brano “Pagliaccio” del 1975.

 

Le premesse: ho prima mitizzato e poi relativizzato la serie del 1990, arrivando alla conclusione, nonostante le numerose pecche (la maggiorate delle quali dovute più che altro per il budget e per le restrizioni televisive dell’epoca), che essa si tratti di un’opera dal valore positivo, che soprattutto grazie alla magistrale interpretazione di Tim Curry è riuscita a entrare nell'immaginario collettivo e negli incubi del pubblico senza aver la libertà di agire come un qualunque altro slasher cinematografico anni ottanta.

 

Poi sono giunto al (lunghissimo) libro. Leggendolo, nella sua struttura divisa nel parallelo fra anni cinquanta e ottanta, fra l’America di Eisenhower e quella di Reagan, fra il conservatorismo che torna, come lo stesso Pennywise, dopo la parentesi degli anni della contestazione.

 

Uno degli esempi che più mi hanno colpito, si trova nei capitoli iniziali (forse proprio il primo): il paragone fra dei teppisti anni ’80s con le t-shirt di gruppi heavy metal che vengono paragonati alla gang di Henry Bowers (il cattivo secondario) e la sua gang di bulli, vestiti in stile rockabilly, un po’ Elvis un po’ Marlon Brando ne Il Selvaggio.

 

Piccoli e grandi episodi, concatenati fra loro che forniscono una splendida allegoria dell’anima più nascosta e buia della provincia americana.

 

Episodi appunto, e da lì che un tarlo si inoltra nella mia mente: questo libro non meriterebbe, data la sua ampiezza, una trasposizione televisiva su più episodi?

 

Fu quindi con grandissimo giubilo che accolsi la notizia che al “il tizio che ha fatto True Detective” era stata affidata la direzione della nuova trasposizione, per quanto si parlasse di un film e non di una serie tv, ma il nome di Cary Fukunaga era senz'altro una garanzia. Ma come spesso accade, quando il nome è troppo ghiotto a livello di money, Hollywood ci mette lo zampino e impone i suoi paletti: Fukunaga se ne va e con lui i miei sogni. Al suo posto arriva Andy Muschietti (Mama, 2013) che per l’amor di Dio non è un replicante aziendale come i registi della Marvel, ma non è certamente “quello di True Detective”.

 

Di conseguenza le mie aspettative calarono vistosamente, fra la paura di vedere qualche banalissimo horror pieno di jump scare e sangue a volontà, e la consapevolezza che c’era la vacca di Stranger Things da mungere (vedi il cast di uno dei bambini della serie nel ruolo di Ritchie) e che si sarebbe seguito quel calco: stereotipi ’80s, citazioni e tanta, tanta, ma tanta nostalgia, che apprezzo nella serie Netflix, ma in It volevo vedere qualcosa di più controverso e disturbante. In seguito però dall'altra parte del mondo le recensioni risultano molto favorevoli e allora le mie speranze si riaccendono e vado speranzoso al cinema.

 

Dopo pochi minuti, giusto dopo il celebre episodio di Georgie, per chi ha letto il libro, si ha subito la sensazione che si assisterà ad una compressione estrema del libro, un super concentrato, paradossalmente ancor più della serie del 1990 (che durava 3 ore, non 2 film come questo It, contando anche il sequel). La sensazione è che bisogna andar veloci, per arrivare subito agli scontri diretti, a mostrare la paura. Non c’è tempo di mostrare il lato oscuro di Derry, non c’è manco tempo di dare spiegazioni. Le introduzioni dei personaggi sono brevissime, che quasi non percepisci il loro legame di amicizia (almeno per me). Pressoché assente la dimensione emozionale che spinge “i perdenti” a prendere il coraggio e andare nelle fogne a dar la caccia al pagliaccio, viene usato un più semplice espediente per giustificare ciò (una vistosa libertà rispetto al libro), che non vi spoilererò.

 

Vi è una maggiore fedeltà al libro sì, ma ad un livello molto superficiale, comprensibile solo a chi l’ha letto, a volte al limite della citazione come i vari riferimenti alla Tartaruga (entità benigna che nel libro aiuta i ragazzini a combattere il pagliaccio).

 

Fedeltà che però a volte ha clamorosi blackout, come quando i ragazzini incominciano a combattere It: non c’è rito di Chud, ne sfera d’argento, semplicemente lo menano in un 7vs1 come quei fascistelli che quel 2 novembre 1975, a Ostia, assaltarono Pier Paolo Pasolini.

 

Poi sul versante tecnico niente da lamentare particolarmente bravi i bimbi, eccellente l’attore svedese con il cognome inscrivibile.

 

Non un film brutto, ma neanche il capolavoro come descritto su qualche sito.

 

Sono favorevole quando un film modifica il libro, anche snaturandolo a volte, ma non alle spremute concentrate.

 

Non mi resta che aspettare il sequel, ma ancor di più fantasticare su una serie tv che probabilmente mai faranno.

 

Voto di Nerd Station: 6

 

Recensione di Sebastiano Donelli